Monumenti

Palazzo Ducale

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ORARI DI APERTURA:             dal Lunedì alla Domenica:         10.00 - 12.00 e 17.00 - 19.00

                                                   

Palazzo Ducale oltre a rappresentare il simbolo del potere del ducato dei Caracciolo sulla città è soprattutto la metafora della svolta culturale e artistica della città, che passa dall’arte medievale per approdare a quella barocca. Fu innalzato da Petracone V Caracciolo nel 1668 sul sito dove sorgeva l’antico castello medievale costruito nel 1388 da Raimondo Orsini del Balzo, principe di Taranto e conte di Lecce e di Martina.

Il castello medievale era principalmente una struttura difensiva ed era costituito da un torrione centrale o maschio (dongione), circondato da una cortina con quattro torri angolari. La data di costruzione della nuova dimora ducale, concepita invece come una reggia, viene riportata dall’incisione epigrafica sulla trabeazione del portale di ingresso: PETRACONUS V A FUNDAMENTIS EREXIT / ANNO D.NI MDCLXVIII, (Petracone V dalle fondamenta costruì nel 1668). Il progetto del palazzo fu firmato da un architetto bergamasco, Giovanni Andrea Carducci, residente a Martina da tempo, e avvallato dal celebre Gianlorenzo Bernini, allora soprintendente del Regno di Napoli, quindi incaricato di visionare tutti i progetti. La facciata si presenta in uno stile tardo-manieristico, infatti, è perfettamente scandita da elementi verticali e orizzontali che riecheggiano i grandiosi disegni dei palazzi romani.

Il portale è evidenziato da due maestose semicolonne dell’ordine tuscanino adagiate su delle paraste, che si ripetono lungo tutta la facciata dell’edificio, incrociandosi con la zoccolatura, il marcapiano appena sopra le finestre del mezzanino (piano intermedio), e la cornice superiore percorsa da un motivo a dentelli. La parte superiore del portale di ingresso è decorata da diversi elementi militari, chiamati panoplie, inseriti per simboleggiare la grande potenza del ducato. La balconata centrale è sorretta da robusti modiglioni fregiati da mascheroni apotropaici dallo sguardo beffardo. Lo stesso elemento decorativo è riproposto anche in legno sul portone di ingresso. Come si può osservare, la facciata è interamente percorsa da una balconata spanciata in ferro battuto, prodotta dall’artigianato locale del Settecento, che gira alle estremità. Il piano della balconata coincide con la Galleria le cui sale furono affrescate ad arte da Domenico Carella nella II metà del XVIII secolo.

Il progetto originario, ispirandosi alle fastose regge seicentesche, prevedeva un impianto ad U; ossia la facciata con l’ala orientale e occidentale, e un lato completamente aperto verso il contado con giardini e fontane. In realtà l’opera fu lasciata incompleta in quanto molto ambiziosa e costosa e perciò fu portata a termine con diverse manomissioni dai successori di Petracone V. Quest’ultimo, infatti, fu in grado di completare solo gli appartamenti terranei e quelli dell’ammezzato dell’ala frontale, chiudendo il cantiere intorno al 1700 con la realizzazione della grande ringhiera in ferro battuto. I lavori di completamento della Galleria furono ripresi nella seconda metà del Settecento da Francesco III Caracciolo (a distanza di due generazioni), che nel 1773 realizzò anche l’ala orientale, come riporta un cartiglio sulla balconata laterale (affaccio via Barnaba) in stile barocco, sorretta da modiglioni scultorei molto ricercati. Qui si legge: FRANCISCUS III EREXIT ANNO D.NI 1773 (Francesco III eresse nell’anno del Signore 1773).

L’ala occidentale fu realizzata nell’Ottocento e infine nel Novecento fu realizzata l’ala di chiusura del cortile. Queste divergenze stilistiche emergono nettamente affacciandosi nell’atrio e osservando i quattro differenti prospetti interni. Agli inizi del Novecento i duchi Caracciolo-De Sangro avviarono la vendita del palazzo con tutti i suoi accessori, e fu così che nel 1928 buona parte del Palazzo Ducale divenne sede del Palazzo di Città e i restanti locali acquistati da facoltosi cittadini. Attualmente Palazzo Ducale è occupato dagli uffici comunali, dal tribunale, dalla biblioteca comunale “Isidoro Chirulli” e dal centro artistico musicale “Paolo Grassi” che ogni anno in estate, dal 1974 organizza il Festival della Valle d’Itria, uno dei Festival più apprezzati di musica lirica a livello internazionale. Il Festival è ospitato all’interno dell’atrio del Palazzo Ducale, che d’estate diventa una scala all’aperto in cui la perfetta acustica del luogo permette di riscoprire le grandi melodie del passato in uno scenario alquanto suggestivo. Oltretutto dal 2000, sempre all’interno dell’atrio, puntualmente nell’ultimo fine settimana di agosto, si svolge un’altra importante iniziativa: il Festival del Cabaret.

Sala dei Duchi e Cappella Ducale

Molte stanze di Palazzo Ducale sono decorate, come ad esempio la foresteria (a destra del portale di ingresso), che conserva le tempere sulla vita di Petracone V e le stanze del mezzanino con soggetti vari. Molte di queste stanze sono occupate dagli uffici comunali quindi non visitabili.

Le stanze, invece, accessibili alla visita e che esprimono un elevato patrimonio pittorico e culturale, sono le Sale della Galleria decorate a tempera nel 1776 da Domenico Carella, grande protagonista della stagione artistica del Settecento martinese. Si tratta della Cappella ducale e delle Sale dell’Arcadia, del Mito e della Bibbia. Entriamo nella dimora ducale, percorrendo lo scalone di rappresentanza che si apre sulla destra dell’androne, e giungiamo davanti al portale barocco dell’antico Salone delle feste che oggi ospita la Sala del Consiglio Comunale.

Questo portale è ispirato all’arte leccese, come evidenziano chiaramente le due colonne tortili in gesso lavorato, avvolte da elementi fitomorfi e zoomorfi. Lateralmente, come si può costatare, ritorna la decorazione militare delle panoplie, identica a quella presente sulla trabeazione di ingresso; quasi a voler sottolineare l’autorità e la potenza del ducato dei Caracciolo. La parte superiore del portale si arricchisce di un’elegante cornice dentellata che alterna il motivo della foglia di acanto con quello di una delicata rosetta. Sulla sinistra si apre l’ingresso dell’Ala D’Avalos, l’ala del Settecento, che Francesco III Caracciolo fece costruire espressamente per sua madre, Isabella D’Avalos. Sulla destra, invece, si apre la Galleria pittorica che cela un immenso patrimonio pittorico. La prima sala di accesso della Galleria ospita la Sala dei Duchi e conserva alcuni ritratti dei duchi Caracciolo. La casata dei Caracciolo era originaria di Buccino, nel salernitano, e rivestiva già il titolo di conte di Buccino, quando nel 1507 fu investita anche del titolo di duca di Martina. Il primo duca fu Petracone III e gli successero ben tredici duchi. L’ultimo duca fu Placido che concluse il suo ducato nel 1806 con l’abolizione dell’istituzione feudale ad opera della riforma liberale attuata dal dominio napoleonico. Nel 1827, inoltre, si estinse il ramo maschile della casata Caracciolo con la morte di Petracone VIII, sicché la sorella, Argentina Caracciolo, ultima erede legittima, andando in sposa al duca Riccardo III de Sangro avviò la successione del ducato Caracciolo-De Sangro che era diventato ormai un titolo puramente nominale. Anche questa famiglia si è estinta con la morte di Riccardo de Sangro nel 1978 che donò la parte più rilevante del grande archivio Caracciolo-De Sangro al Comune di Martina Franca, un importante fondo documentario conservato attualmente nei locali della Biblioteca. Il soffitto della Sala dei Duchi è decorato con motivi floreali e zoomorfi anche di ispirazione esotica.

Sulle pareti si possono ammirare i ritratti dei duchi Caracciolo. Si tratta di dipinti del Seicento di autore anonimo che riproducono alcuni eredi del casato diversificando gli attributi del viso e dell’abbigliamento. Nella parte bassa dei dipinti sono riportate le iscrizioni latine con il nome e l’anno. Il passaggio nelle stanze della Galleria avviene attraverso delle porte rococò, sagomate ad orecchio e decorate da conchiglie, volute e motivi floreali tinteggiate di verde e impreziosite da foglia d’oro.

La sala successiva si caratterizza per dipinti di rimando neoclassico inseriti all’interno di motivi floreali e ghirlande. Nei clipei, infatti, si intravedono le vedute di antiche città greche-romane, forse le testimonianze archeologiche che emersero dagli scavi di Ercolano e Pompei, tinteggiate di azzurro. Le pareti sono decorate da finta carta da parati dipinta con la predominanza delle tonalità rossastre. Segue la Cappella Ducale, dipinta da Domenico Carella nel 1776, e con la quale ha inizio il ciclo pittorico settecentesco più importante dell’antica dimora dei Caracciolo. Qui si conserva un maestoso altare in pietra policroma e dorata, sul cui paliotto è scolpito il simbolo dell’unione matrimoniale fra i Caracciolo e i Pignatelli; rispettivamente il leone rampante e le tre pignate. I dipinti di questa cappella, a sinistra, rappresentano San Gennaro con l’ampolla di sangue e affianco la Madonna del Carmine. Di fronte, a destra, si collocano San Martino in abiti vescovili con il grappolo di uva e le Anime del Purgatorio. La volta rappresenta i Simboli dell’eucarestia. Molto interessante è il Cristo Crocifisso (XVIII secolo) in legno dipinto, la cui l’espressione, priva di pathos, esprime calma e serenità anche nel momento tragico del trapasso.

Sala dell’Arcadia

Siamo nella Sala dell’Arcadia, dipinta interamente a tempera da Domenico Carellanel 1776, dietro commissione del duca di Martina, Francesco III Caracciolo. La scritta DOMENICUS CARELLA F(ecit) 1776, (Domenico Carella dipinse nel 1776), è riportata sul sottovolta in direzione della finestra all’interno di una conchiglia illuminata da un angelo con una fiaccola. Domenico Carella (1721-1813) nacque a Francavilla Fontana (Brindisi), si formò a Napoli presso la bottega del Solimena e poi si trasferì a Martina dove iniziò a dipingere sia per la committenza ducale, religiosa e signorile. Questa sala è detta dell’Arcadia poiché si ispira al movimento culturale seicentesco che si diffuse in tutta Italia, proponendo il recupero della cultura classica e dell’arte in alternativa all’esuberanza stilistica delle meraviglie del barocco. Il pittore ritrae la corte dei Caracciolo in una scenografia agreste e bucolica circondata da pastori e pastorelle (così erano detti i partecipanti all’Arcadia), dediti all’arte in ogni sua manifestazione. Il riquadro sulla destra raffigura al centro il duca Francesco III, che con fare accogliente, sembra quasi volerci invitare a partecipare all’otium intellettuale della sua corte. Sull’angolo di destra, seduta, c’è la contessa Stefanina Pignatelli, moglie del duca, che si distingue per la sua acconciatura alla Fontange, alta ed elegante. Tutto il riquadro è allietato da ballerini, musicisti e attori che si muovono nella scena fra antichi monumenti; esedre, statue montate sui piedistalli alti e avvolti da una vegetazione lussureggiante e florida. Sul riquadro della parete opposta, si scorge sulla destra, la figura raffinata di Isabella d’Avalos, madre del duca Francesco III, circondata da musicisti che accompagnano i virtuosissimi vocali di un soprano e da diversi artisti. Fra questi si distingue Giambattista Lanucara (1745-1835), medico e poeta locale, steso sul prato, al centro della composizione, intento a comporre i suoi versi. Di fianco c’ è un bambino, sicuramente trattasi di Petracone VII, futuro duca di Martina accompagnato dal suo precettore. Alle sue spalle si apre la visione prospettica di un arco con un palazzo, forse si tratta di una reinterpretazione pittorica dell’Arco di Santo Stefano e del Palazzo Ducale in prospettiva. Negli spazi sopra le porte, lateralmente alla finestra e al balcone, ci sono dei riquadri monocromatici che omaggiano l’arte in ogni sua forma: la pittura, la musica, la danza, la scienza ecc.

Il sottovolta riproduce le quattro stagioni in maniera allegorica. L’Autunno è impersonificato da un contadino con una brocca di vino; la Primavera è raffigurata da una leggiadra donzella; seguono sulla parete opposta l’Inverno con un uomo vecchio che si riscalda al braciere e l’Estate con una fanciulla che regge un fascio di grano. Il soffitto riproduce al centro l’Apoteosi di Ercole. E’ raffigurato Ercole che tirato da Mercurio (identificabile dall’elmo alato e dal caduceo) sta per ricevere in sposa Ebe, figlia di Zeus e simbolo dell’eternità. L’unione viene celebrata da Apollo, si riconosce dalla corona di allora e dalla lira, oltre che dall’alone giallognolo che avvolge interamente la figura. Sotto questo gruppo ci sono le Muse ispiratrici dell’arte e in basso si scorge il cavallo alato di Pegaso che fa scaturire dai monti dell’Elicona la sacra fonte di Ippocrene, fonte ispiratrice della poesia. Ogni angolo dello spazio murario è completamente dipinto da un finto effetto di cornici e di medaglioni con volute e girali, creando una scenografia illusionistica di grande effetto in cui predominano le tonalità rossastre.

Sala del Mito

La sala successiva è chiamata Sala del Mito, detta anche delle Metamorfosi di Ovidio, dato che l’iconografia pittorica si ispira al testo del poeta latino. Iniziamo la lettura della pellicola pittorica partendo dalla parete di destra che raffigura la Fuga di Enea da Troia in fiamme. Si riconosce la figura corpulente di Enea che salva il padre Anchise portandolo in spalle lontano dal rogo dell’incendio che ormai sta dilaniando la città di Troia. Il padre stringe nelle mani le statuette degli dèi Penati, protettori della famiglia. Ai piedi di Enea, con il viso paffuto di un puttino, si distingue il figlio di Enea, Ascanio, mentre dall’altra parte con il capo chino e mortificato si riconosce Creusa, moglie di Enea, che si smarrirà durante l’incendio. La città in fiamme, che fa da sfondo, sembra uno scorcio sei-settecentesco di Roma in cui si intravede chiaramente una colonna coclide. E’ evidente l’ispirazione della scena al dipinto dell’Incendio del Borgo (1514) di Raffaello nelle Stanze del Vaticano. Proseguendo sulla parete di fondo si individua il mito di Atalanta e Ippomene. Il mito racconta di Atalanta, una bellissima fanciulla velocissima nella corsa, che sfida tutti i suoi pretendenti. Ippomene, follemente innamorato di Atalanta, dietro suggerimento di Venere, scaglia per terra, durante la corsa, tre pomi d’oro. La fanciulla, adescata dai pomi, arresta la sua corsa e si fa superare dallo sfidante che poi sposerà. Lateralmente compaiono delle figure tipiche di un contesto bucolico-pastorale con rimando ai pastori e alle pastorelle della Sala dell’Arcadia. Sulla parete successiva si riconosce un mito classico di ispirazione berniniana; Apollo e Dafne. Il Dio del sole cerca di prendere con la forza Dafne, una bellissima ninfa, mentre questa chiede al padre Peneo, divinità del fiume, raffigurato ai suoi piedi, di essere trasformata in una pianta di alloro pur di difendere la sua illibatezza. E così le dita della mano e del piede iniziano la lenta metamorfosi in una pianta di alloro, che diventerà da questo momento molto cara ad Apollo. Sulla parete collocata fra le due porte che conducono sulla balconata, si riconosce Esione ed Ercole. Esione porge una corona di alloro ad Ercole come ringraziamento per averla salvata dalle fauci del drago, stramazzato per terra. E ora volgiamo lo sguardo verso l’alto. Nel sottovolta, in direzione del caminetto, troviamo Narciso che si specchia nella fonte e affianco Pan e Siringa. Narciso è un bellissimo fanciullo che finirà per innamorarsi della sua figura riflessa nell’acqua al punto da suicidarsi. Affianco vi è il mito del satiro Pan che innamorato della ninfa Siringa, la rincorre in mezzo al canneto. Ma la ninfa, non ricambiando lo stesso sentimento, chiede al padre di essere trasformata in una canna. Da quella canna Pan ricavò il flauto o siringa di Pan e da allora non si separò mai più dalla sua amata. Sul lato opposto, sempre nel sottovolta, vi è sulla destra l’episodio di Nesso che rapisce Deianira. Il centauro Nesso ha rapito Deianira, la moglie di Ercole, e in lontananza l’eroe immortale sta per scoccare un dardo contro il centauro. Affianco, sulla sinistra si distinguono le figure di Piramo e Tisbe. L’episodio narra la storia di due giovani innamorati contrastati dalle rispettive famiglie. Sono costretti ad incontrarsi di nascosto e così sul luogo dell’appuntamento giunge Tisbe che viene assalita da una leonessa, riesce a mettersi in salvo ma lascia cadere il suo velo che la belva afferra lacerandolo e imbrattandolo di sangue. Arriva Piramo sul luogo dell’appuntamento, riconosce il velo della sua amata, e credendo che la belva l’abbia uccisa, estrae la sua spada e si uccide. Dopo un po’ ritorna Tisbe che di fronte alla morte del suo amato decide di uccidersi con la stessa spada. La volta invece è dominata dal grande Carro del sole infuocato trainato da Apollo, simbolo della continuità della vita e della poesia. Curioso è l’inserimento nel sottovolta di due cinesini. Si tratta di una palese contaminatio orientale che iniziava a serpeggiare fra i pittori di fine Settecento.

Sala della Bibbia

L’ultima sala dipinta da Domenico Carella nel 1776 è la Sala della Bibbia e questa volta il pittore si ispira ad episodi dell’Antico Testamento e nello specifico alle storie di Tobia padre e del figlio Tobiolo. Per seguire l’ordine cronologico diamo inizio alla lettura delle tempere partendo dal sottovolta rossastro che si trova in alto a destra. Qui si raffigura Tobia che seppellisce i suoi cittadini che morivano in guerra contro gli Assiri. Sul sottovolta di fronte, a sinistra, vi è la Partenza di Tobiolo con l’Arcangelo Raffaele. Si riconosce il padre Tobiolo, seduto ad un angolo, che invita suo figlio Tobiolo a recarsi a casa di un suo amico al quale aveva affidato del denaro. E inoltre suggerisce al figlio di farsi accompagnare da una guida durante il viaggio. La guida scelta è l’Arcangelo Raffaele, ma Tobiolo ignora la sua vera identità. La storia prosegue sul riquadro grande a destra in cui si raffigura l’Incontro fra Tobiolo e Sara. Tobiolo è accolto dalla famiglia dell’amico di suo padre che aveva custodito il denaro dato in prestito e si innamora della figlia: Sara. La fanciulla è dipinta a ridosso del pozzale. Ma Tobiolo è titubante alle nozze, perché la fanciulla si è sposata per sette volte e per tutte e sette le volte è rimasta vedova durante la prima notte di nozze perché afflitta dal maleficio del demone Asmodeo. L’Arcangelo Raffaele lo incoraggia e tramite una poltiglia fatta dal fegato e dal cuore di un pesce, catturato durante il viaggio nel fiume Tigri, riesce a scacciare il demonio che attanagliava lo spirito della fanciulla. Questo episodio, ossia l’Arcangelo Raffaele e Tobiolo sulla riva del fiume Tigri è riprodotto su una tela conservata presso il transetto sinistro della Basilica di San Martino, attribuita allo stesso Carella. Dopo la guarigione di Sara, Tobiolo felicemente sposato ritorna a casa dal padre, siamo passati al riquadro sulla parete di sinistra, dove Tobiolo guarisce il padre dalla cecità con il fiele. Proseguiamo con la lettura delle altre scene. Sulla sinistra della porta che conduce sulla balconata è raffigurato l’Incontro di Jephte con sua figlia Ester, mentre sulla destra si descrive Abigail che rende omaggio a Davide. La prima storia narra dell’incontro fra il padre vittorioso contro gli Ammoniti e la figlia Ester che per dover di stato sarà sacrificata dallo stesso padre. Nella seconda storia si racconta di Abigail che prudentemente offre del vino e dei pani a David al fine di arrestare le sue intenzioni bellicose contro il suo popolo. Sulla parete dove si colloca la porta che conduce nelle altre stanze, si distingue a destra Rebecca al pozzo che riceve in dono una collana di perle essendo stata scelta come moglie per Isacco dal servo di Abramo, Eliezer. A sinistra invece si riconosce Mosè salvato dalle acque, solo che l’ambientazione è tipicamente settecentesca, anziché essere egiziana. Sulla porta è raffigurato in maniera monocromatica Giuditta con la testa di Oloferne, citazione esplicita del noto dipinto del Caravaggio. La volta è dominata dalla Vittoria del Bene contro il Male. Allegoricamente il Bene è raffigurato da una donna giunonica e solare che scaccia il Male. Quest’ultimo allegoricamente è impersonificato da una figura deforme con il viso imbruttito che viene spinta in basso da un angelo con una torcia in mano. Seguono altre due sale: la Sala della Riconciliazione, dipinta con l’effetto del finto pergolato e delle tende a muro e la Sala degli Stemmi, con l’effigie di Martina Franca in alto a destra e quella di Taranto in alto a sinistra. Dalla finestra si può ammirare un meraviglioso panorama della Valle d’Itria. 

INFO: ingresso libero per visitare le sale decorate a tempera della Galleria, si può accedere percorrendo lo scalone sulla destra, oppure prendendo l’ascensore che si trova in fondo all’atrio a destra.

INDIRIZZO: Piazza Roma

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